cratere Manicouagan

La formazione di un
Cratere da Impatto

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L'impatto di un oggetto proveniente dallo spazio esterno su una superficie planetaria, evento che porta alla formazione di un cratere, è solitamente un fenomeno estremamente rapido e si svolge completamente in tempi che vanno da frazioni di secondo a pochi minuti. Nella necessità di dover descrivere il meglio possibile un fenomeno dal decorso talmente veloce, si è soliti ricorrere ad un artificio, una sorta di scomposizione degli eventi fatta a tavolino, identificando e separando nella genesi del cratere d’impatto varie fasi.
Deve comunque essere chiaro che tale convenzione (perché di una convenzione si tratta) è esclusivamente dettata dall’esigenza di approfondire i fenomeni fisici coinvolti nel fenomeno con l’intento di giungere, in tal modo, ad una migliore visione d’insieme.
I vari momenti indicati, infatti, più che una sequenza temporale rigorosa, dovranno essere considerati fenomeni fisici che si sovrappongono e si influenzano vicendevolmente durante il breve lasso di tempo occupato dall’intero evento e, conseguentemente, la separazione tra una fase e la successiva non può essere stabilita in modo netto.
Per usare una analogia cinematografica, non si sta esaminando il verificarsi dell’evento usando una moviola con dei fermo-immagine, ma si analizzano spezzoni di una stessa scena, diverse inquadrature, flash istantanei su quanto si sta verificando (o si è già verificato).
Fatte queste indispensabili precisazioni, esaminiamo da vicino le quattro fasi dell’evento che, di solito, vengono indicate come le più rappresentative, vale a dire: compressione, escavazione, espulsione dei materiali e modificazione finale della struttura.

 

Compressione
Durante la prima fase il meteorite colpisce la superficie planetaria e si innesca un sistema di onde d’urto che trasferiscono energia cinetica (è infatti questa l’origine del contenuto energetico associato ad ogni evento impattivo) non solo dal proiettile al bersaglio, ma anche all’interno dello stesso corpo impattante.
La pressione che si viene a generare nel momento dell’impatto è elevatissima: si calcola, infatti, che nella formazione di un tipico cratere di 10 km a seguito di un urto con un oggetto dotato di velocità entro valori standard (dell’ordine, cioè, di 15 km/sec) si possono raggiungere picchi di 5000-10000 kbar (500-1000 Gpa).
Questo significa che diventa molto più di una ragionevole ipotesi il pensare al violento sgretolarsi del meteorite (una vera e propria esplosione) e la quasi istantanea sua vaporizzazione, destino che necessariamente deve coinvolgere parte del materiale superficiale planetario presente nella zona dell’impatto (figura A).

figura A

L’oggetto proveniente dallo spazio è riuscito ad eludere la protezione offerta dall’atmosfera e sta per concludere il suo viaggio sulla superficie.
L’indicazione della traccia dell’oggetto (1) vuole schematizzare i possibili effetti luminosi e sonori associati all’avvicinamento e collegati al meccanismo di ablazione.
E’ possibile, inoltre, la presenza di una prima onda d’urto (2) dovuta alla violenta compressione dell’aria che il corpo incontra nella sua discesa.

 

Escavazione
Le onde d’urto generate dall’evento si propagano nel terreno (la loro velocità iniziale è di circa 10 km/sec) e questa compressione (associata all’espulsione di materiali dal luogo dell’impatto) origina la cosiddetta "cavità transiente", l’enorme voragine iniziale destinata, in seguito, a trasformarsi nel cratere vero e proprio (figura B).
Il cratere, pertanto, (tranne nel caso di cadute meteoritiche caratterizzate da un più basso livello energetico) non è mai identificabile come un fenomeno di scavo meccanico originato da un oggetto solido (il meteorite) che, per così dire, si apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie planetaria), cercando di mantenere la direzione originaria del suo moto; si tratta, invece, del trasformarsi istantaneo in una regione limitatissima di enormi quantitativi di energia cinetica in energia meccanica e termica.
Dal punto di vista fisico l’evento è paragonabile a ciò che si verifica nel caso dell’esplosione di una bomba: le differenze risiedono fondamentalmente nel quantitativo di energia coinvolta (fatto già più volte ribadito e che viene ulteriormente approfondito nell’Appendice 2) e nel tipo di energia iniziale, cinetica quella del meteorite, chimica quella del TNT (o altro esplosivo) che origina lo scoppio. Una fondamentale conseguenza suggerita direttamente da tale paragone è che, nel caso di un impatto astronomico come quelli che stiamo considerando, diventano completamente irrilevanti sia la forma dell’impattore che la direzione di provenienza del suo moto ed il risultato che si ottiene è in ogni caso un cratere circolare (che è quanto si può comunemente osservare).
Unica eccezione potrebbe essere costituita da un impatto radente, un impatto cioè con un angolo di non più di qualche grado rispetto all’orizzonte, situazione che potrebbe originare un cratere ellittico (o anche una serie di crateri allineati a causa della disgregazione del proiettile in più oggetti distinti) dal momento che l’energia non verrebbe più liberata in un unico punto, ma piuttosto lungo una linea.

figura B

Il proiettile è ormai esploso a causa dell’elevata pressione originando una potentissima onda d’urto (1) che spazza la zona circostante l’impatto.
L’onda d’urto si propaga anche nel terreno (3) ed inizia la creazione della cavità transiente con fenomeni di fusione e vaporizzazione delle rocce presenti nel luogo dell’impatto (2).

 

Espulsione dei materiali
Inizialmente l’espulsione dei materiali avviene a velocità molto elevate (anche qualche km/sec), ma poi si attenua stabilizzandosi su valori dell’ordine di 100 m/sec.
I materiali (ejecta) vengono scagliati verso l’alto e verso l’esterno ricoprendo in tal modo una vasta area circostante il luogo dell’impatto e vanno a formare le caratteristiche raggiere tipiche di alcuni crateri lunari (si pensi, ad esempio, a quelle evidentissime nel caso del cratere Tycho), ma che sulla Terra verranno ben presto mascherate dall’opera erosiva dei fenomeni atmosferici e molto spesso completamente cancellate, assieme a tutta la struttura craterica, dall’azione distruttiva dei fenomeni geologici (figura C).
La forma delle raggiere originate dalla ricaduta degli ejecta ha la sua importanza poiché ci può fornire preziose informazioni sul tipo di terreno presente nella zona dell’impatto.
Se si esamina, ad esempio, la morfologia degli ejecta dei crateri lunari e la si confronta con quella dei crateri sulla superficie di Marte, si può vedere come nel secondo caso la coltre originatasi dai materiali espulsi al momento dell’impatto abbia un caratteristico profilo multilobato, e proprio questa particolare disposizione ci porta a suggerire la presenza di sostanze liquide sul luogo d’impatto.
L’interpretazione corrente di queste strutture, infatti, considerando l’azione di escavazione e di brusco riscaldamento nel momento dell’impatto e la forte presenza di acqua incorporata nel terreno marziano (permafrost), suggerisce che, anziché il descritto meccanismo di espulsione su traiettorie balistiche, si inneschi un movimento dei materiali quasi a ondate, che obbligano gli ejecta a mantenersi radenti al terreno, quasi si trattasse di una esondazione.
La superficie del nostro satellite, invece, è completamente priva di quella componente liquida e dunque la formazione del caratteristico manto costituito dai materiali espulsi presenta un aspetto più polveroso, con i materiali (più chiari) provenienti dal sottosuolo che si distribuiscono (talvolta secondo direzioni privilegiate) all’intorno del cratere ricoprendo la superficie originaria di colore più scuro (perché da lunghissimo tempo esposta all’azione arrossante dei raggi cosmici).

figura C

Prosegue il meccanismo di escavazione della cavità transiente ed una grande quantità di materiale (ejecta) viene lanciata lontano dalla zona dell’impatto (1)
I blocchi più grandi potranno, ricadendo al suolo, originare a loro volta crateri secondari.
Prosegue ancora anche l’azione dell’onda d’urto nel terreno (2) innescando fenomeni di modificazione strutturale delle rocce (shock metamorphism).

 

Modificazione
La fase di modificazione della struttura craterica iniziale creatasi a seguito dell’impatto (cavità transiente) può essere vista in una duplice prospettiva: se da un lato, infatti, si possono considerare i fenomeni immediatamente successivi all’evento e ad esso direttamente correlati, dall’altro, però, non si devono trascurare altri processi che, sebbene non direttamente innescati dall’impatto e caratterizzati da tempi di azione non altrettanto rapidi, sono cause di mutamenti non meno importanti per l’intera struttura (figura D).
Il più importante tra i processi direttamente innescati dall’evento impattivo e che si manifestano negli istanti immediatamente seguenti al suo verificarsi è l’assestamento isostatico della struttura.
E’ evidente, infatti, che non appena diminuisce l’azione di compressione sulle rocce sottostanti la zona della caduta queste tendono a ritornare nella posizione iniziale (un vero e proprio rimbalzo elastico) riducendo in parte la profondità della cavità transiente; tale fenomeno, nel caso di impatti di grosse dimensioni, può sfociare nella formazione di una struttura centrale (central peak) oppure in una struttura più complessa ad anelli concentrici sopraelevati (bacino multi-ring).
Non è automatico, infatti, che i crateri da impatto abbiano la caratteristica forma "a scodella" come quella del Meteor Crater in Arizona e non è detto che le strutture più complesse siano riscontrabili unicamente sulla Luna o sugli altri pianeti.
Anche sulla Terra esistono crateri da impatto caratterizzati da un picco centrale e strutture multi-ring, anche se queste ultime sono certamente di più difficile "lettura" rispetto a quelle, evidentissime, riscontrabili sul nostro satellite, ma delle possibili tipologie di crateri e delle loro caratteristiche salienti avremo modo di parlarne più avanti.
Tornando ad occuparci della modificazione di un cratere dobbiamo ricordare anche l’inevitabile ricaduta degli ejecta nella zona stessa dell’impatto, contribuendo ulteriormente a ridurre la profondità della struttura. Il miscuglio di rocce risultante dalla condensazione del materiale fuso e parzialmente vaporizzato lanciato in atmosfera al momento dell’urto e poi ricaduto viene solitamente indicato con il termine di suevite.
A questo punto si potrebbe pensare che la morfologia della struttura possa considerarsi ormai definitiva e duratura, invece bisogna cominciare a fare i conti con modificazioni a più lungo respiro quali sono i mutamenti indotti dai fenomeni atmosferici (venti, precipitazioni, azione dei corsi d’acqua, movimento dei ghiacci, …) e da quelli geologici (bradisismi, terremoti, fenomeni di orogenesi, manifestazioni vulcaniche, …).
E’ chiaro che le modificazioni di questo tipo possono riguardare solamente la Terra ed i corpi celesti ancora geologicamente attivi (un esempio in tal senso può essere Europa, satellite di Giove) oppure dotati di una atmosfera (ad esempio Venere), mentre non sono evidentemente presenti sul nostro satellite o sugli asteroidi.
Giorno dopo giorno, anche se sarebbe indubbiamente più corretto (ma meno poetico) dire "milione di anni dopo milione di anni", la lenta azione di livellamento degli agenti atmosferici e lo sconvolgimento superficiale caratteristico dei fenomeni geologici porta inevitabilmente alla cancellazione di queste ciclopiche cicatrici lasciate dagli impatti e questo lo si può notare in modo molto semplice ed immediato confrontando una fotografia della Terra ed una della Luna, anche se, ad essere rigorosi, un tale confronto potrebbe reggere limitandoci a considerare della Terra solamente le zone desertiche o comunque libere da ogni forma di vegetazione che finirebbe col nasconderebbe ogni struttura sottostante.
Ed a proposito della vegetazione è opportuno accennare che anch’essa può contribuire non solo a mascherare un sito d’impatto (e questo deve essere messo in conto quando si cerca di rintracciare tali strutture sul nostro pianeta), ma anche a mutarne la morfologia.
E’ pur vero, comunque, che anche sui corpi geologicamente morti e privi di atmosfera è attivo un modo tutto particolare di eliminazione delle tracce di un impatto: poiché la superficie di tali corpi conserva i crateri di tutti gli impatti avvenuti nel corso dell’intera storia geologica, si può giunge in talune regioni alla cosiddetta saturazione di craterizzazione , il che significa che ogni nuovo cratere deve necessariamente distruggere (parzialmente o completamente) una struttura preesistente.

figura D

E’ ritornata la quiete sul luogo dell’impatto e la voragine nel terreno è l’unico e terribile promemoria di ciò che è appena accaduto.
Il cratere (1) è già stato ricoperto dalla ricaduta di parte degli ejecta e dal cedimento delle pareti (2) che, franando, concorrono a limitarne la profondità.
Non infrequente è la presenza di zone (3) in cui si è verificata una inversione degli strati geologici.

 

 

NON SOLO CRATERI...

Il processo di craterizzazione non è però l'unico fenomeno indotto da un impatto; nonostante la brevità temporale dell'evento, si possono innescare conseguenze ben più gravi di quelle localizzate nell'area interessata dalla craterizzazione, in grado di coinvolgere anche l'intera superficie terrestre.
Ci occupiamo perciò a questo punto delle conseguenze di un impatto e lo facciamo introducendo una scala di valutazione dei rischi, articolata in quattro livelli di gravità crescente, proposta da Andrea Carusi nel 1995.

Primo livello: eventi che non costituiscono alcun rischio significativo per la biosfera.
Sono compresi in questo gruppo le interazioni con corpi le cui dimensioni variano dalla regione millimetrica (ed inferiore) fino a qualche metro.
Un esempio particolarmente significativo è stato il bolide con dimensioni iniziali di 1,5-3,0 metri e massa di 104-105 kg esploso ad una altezza di circa 30 km sopra Lugo di Romagna il 19 gennaio 1993.
Un dato certamente confortante è che, in generale, i corpi rocciosi di massa minore di 100 tonnellate vengono disintegrati nel loro attraversamento dell'atmosfera: la maggior parte della loro energia cinetica viene dissipata in tempi dell'ordine del secondo (o anche meno) con la conseguente esplosione del corpo.
Questi episodi vengono definiti fireball o bolidi; di molti di essi non vi è rilevazione a terra, ma soltanto attraverso i satelliti di sorveglianza.
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha reso pubblici i risultati delle osservazioni dei satelliti-spia effettuate dal 1972 in poi, permettendo così di ricostruire gli episodi di interazione di oggetti aventi dimensioni dell'ordine della decina di metri con l'alta atmosfera: questi flash, la cui energia è stimata dell'ordine di 10000 kton, sono stati rilevati con una frequenza media non inferiore ad un evento all'anno.

Bellissima immagine che mostra la scia multicolore rimasta in cielo dopo l'esplosione di un bolide.

Per rendersi conto dell’enorme contenuto energetico associato a fenomeni di questo tipo, basterebbe fare due semplici conti e calcolare l’energia cinetica posseduta da un meteoroide di 10 grammi lanciato alla velocità di 30 km/sec (indubbiamente elevatissima, ma tutt’altro che lontana dalla realtà essendo proprio questo il valore approssimativo della velocità orbitale della Terra): si ottiene in tal modo per il meteoroide un valore di energia di 4.5x106 joule e, dal momento che il contenuto energetico associabile allo scoppio di 1 kg di tritolo è 4.2x106 joule, è presto calcolabile che l’impatto con quel minuscolo meteoroide libererebbe un quantitativo di energia corrispondente all’esplosione di più di un kg di TNT...

Secondo livello: eventi che coinvolgono corpi con dimensioni comprese tra 10 e 100 m, la cui incidenza temporale è dell'ordine di un evento ogni secolo.
Appartiene a questo secondo gruppo il ben noto evento-Tunguska del 30 giugno 1908, un bolide di una sessantina di metri esploso ad una altezza di circa 8 km, la cui onda d'urto sconvolse oltre 2000 km2 di fitta foresta siberiana e la cui potenza esplosiva viene stimata in 10-40 Mton.
Nella zona non è stato rinvenuto alcun frammento meteoritico, ma si è scoperto un eccesso di iridio (anche se modesto) nel fango e la presenza di particelle microscopiche di polvere nella resina delle conifere del luogo nel periodo 1902/1920: tutto questo porta a riconoscere la natura extraterrestre dell’impattore, ma non consente di identificarne con certezza la tipologia (cometa o asteroide).
Simile in dimensioni (ma differente in composizione e struttura) il piccolo asteroide metallico di poche decine di metri che 50.000 anni fa, impattando la Terra ad una velocità di circa 20 km/sec, originò in Arizona (USA) il Meteor Crater, una voragine profonda 183 m e con diametro di 1,2 km.

Resti di un albero distrutto dall'esplosione del bolide nella zona siberiana del fiume Tunguska avvenuta il 30 giugno 1908.

(Immagine tratta dal sito su Tunguska dell'Università di Bologna
http://www-th.bo.infn.it/tunguska/ )

Terzo livello: in questo gruppo vengono annoverati impatti con oggetti aventi dimensioni dell’ordine di 1 km.
La situazione, nell'eventualità di un simile impatto, comincia ad essere rischiosa per la biosfera a causa dell'elevata quantità di polveri immesse nell'atmosfera: i cambiamenti climatici che ne derivano possono estendersi nel tempo (anche per un periodo di alcuni mesi).
La soglia che separa il secondo dal terzo livello corrisponde approssimativamente ad un evento la cui potenza esplosiva può essere quantificata dell'ordine di un milione di megatoni.

Quarto livello: è il caso estremo e comprende gli impatti con piccoli asteroidi aventi dimensioni dell'ordine della decina di km; la situazione descritta in precedenza assume un carattere globale.
L’impatto stesso ed i fenomeni da esso scatenati comporterebbero per il nostro pianeta conseguenze apocalittiche, uno scenario spesso ipotizzato anche come conseguenza di un conflitto termonucleare su scala planetaria.

La sequenza temporale delle letali conseguenze imputabili ad un impatto di questo livello può essere così sintetizzata:
1. L’aspetto iniziale è certamente il verificarsi di quei fenomeni puramente meccanici ascrivibili direttamente all’impatto, quali la formazione di un cratere ed il conseguente terremoto ad esso associato, con effetti catastrofici entro un raggio di alcune centinaia di chilometri; si stima che un oggetto con dimensioni di 10 km possa produrre un cratere di almeno 100 km di diametro.
Ipotizzando, poi, una caduta in mare (evento certamente più probabile dato il rapporto terre emerse/mari sul nostro pianeta) si deve considerare anche il conseguente tsunami, la cui potenza distruttiva sarebbe tutt’altro che trascurabile (vedi a questo proposito la mia Tsunami Page).
Un oggetto di 200 metri (inquadrabile dunque ancora nel secondo livello!) potrebbe dare origine in mare aperto ad onde alte 3,5 metri, che raggiungerebbero i 100 metri di altezza sulle coste.
Parallelamente a questi fenomeni meccanici sono da annotare quelli termici indotti sul luogo dell’impatto dall’energia liberata dall’urto stesso e, nelle zone limitrofe, dalla caduta dei materiali incandescenti (eiecta), cause sicure dell’accensione di immensi incendi nelle zone circostanti.
2. Soppressione della fotosintesi clorofilliana a causa dell'oscurità provocata dal permanere in sospensione nell’atmosfera delle polveri, dei fumi e delle ceneri prodotte dagli incendi, fenomeno che comporta conseguenze irreparabili non solo per il regno vegetale, ma per l'intera biosfera in quanto viene drammaticamente a mancare un anello basilare della catena alimentare.
3. Produzione nell’atmosfera di NOX (ossidi di azoto) e HNO3 a causa dello shock termico e conseguente verificarsi del fenomeno delle piogge acide.
4. Diminuzione della temperatura ambientale per l’effetto-scudo delle polveri e delle ceneri, riduzione che può essere quantificata in 10-20 gradi e perdurerebbe per un periodo di alcuni anni.
E' stato calcolato che il calo anche solo di 1 grado nella temperatura media del globo farebbe colare a picco la produzione di cereali in Canada, mentre un calo di 3 gradi sposterebbe il limite settentrionale della coltivazione del grano negli USA fino nel sud dell’Iowa.
5. Se l’effetto iniziale dell’immissione in atmosfera delle polveri e delle ceneri è quello di provocare una diminuzione della temperatura, la situazione successiva sarà caratterizzata da un suo drastico innalzamento causato dall’innesco del meccanismo dell’effetto-serra.
Il conseguente aumento di vapore d’acqua nell’atmosfera concorrerà a sua volta ad incrementare ulteriormente tale effetto-serra, prolungandone gli effetti anche per molte migliaia di anni.
Il valore di soglia dell'immissione nella stratosfera di particelle di polvere che darebbe inizio a quello che è stato definito inverno da impatto, è stato stimato in circa 1013 kg, circa 100 volte maggiore della quantità prodotta dalle maggiori eruzioni vulcaniche negli ultimi due secoli, comprese quelle del Pinatubo nel 1991 e quella del Tambora nel 1816, responsabile di quello che è stato definito un anno senza estate.
In un loro notissimo studio pubblicato su Nature nel gennaio del 1994 Clark R. Chapman e David Morrison definiscono impatto catastrofico globale l'evento impattivo che determinerebbe la morte di un quarto della popolazione umana del pianeta, il che equivale a considerare un impatto in grado di causare l’abbassamento della temperatura di 10 gradi su scala mondiale per una durata di mesi o anche di anni, portando i ghiacciai alle medie latitudini anche in estate e distruggendo ogni prospettiva di produzione di derrate agricole alimentari.

Veduta aerea del cratere Manicouagan, in Canada.
Questa struttura circolare ha un diametro di circa 100 km e l'evento che l'ha originata risale a 215 milioni di anni fa.

Tale soglia potrebbe essere superata a seguito dell’impatto di un asteroide roccioso del diametro di almeno 1,5 km, che sarebbe in grado di liberare un’energia equivalente a 200 miliardi di tonnellate di tritolo.
L'esempio che può essere proposto quale rappresentativo di questo ultimo livello è l'evento K/T, un impatto con un asteroide avente dimensioni di una decina di km avvenuto 65 milioni di anni fa (periodo tra il Cretaceo ed il Terziario) al quale si attribuisce l'estinzione dei dinosauri.
Finalmente, dopo molte traversie, lo scenario proposto da Luis W. Alvarez e collaboratori (Extraterrestrial Cause for the Cretaceous-Tyertiary Extinction - Science vol. 208 - June 1980) è stato unanimemente accettato dalla comunità scientifica, anche perché le prove addotte diventavano via via più schiaccianti.
E queste prove non si limitavano solamente l'abbondanza di iridio rilevata in strati geologici corrispondenti al confine tra il Cretaceo e il Terziario, abbondanza difficilmente inquadrabile se non ascrivendola ad un apporto esterno alla Terra.
Con l’ipotesi-impatto, infatti, si potrebbe rendere pienamente ragione sia di una anomala diffusione di quarzo compresso (per la produzione del quale è richiesta una pressione di circa 90 kbar) riscontrata sull’intero pianeta, sia dell’anomalo rapporto Sr87/Sr86 imputabile ai fenomeni di piogge acide (acido nitrico originatosi dall’azoto atmosferico al momento dell’impatto), sia, infine, della formazione di sferule.
La stima dell’energia associata all’impatto suggerisce un valore dell’ordine di 1023 joule, corrispondenti a 24 milioni di megatoni, circa un miliardo e mezzo di bombe di Hiroshima...
Dopo anni di ricerche sembra ormai certa l'individuazione del cratere prodotto da quella collisione: nel nord della penisola dello Yucatan (Messico) è stata scoperta, infatti, grazie a misure gravimetriche confermate da immagini ottenute dallo Shuttle Endeavour, una depressione di circa 180 km di diametro (cratere Chicxulub) che potrebbe essere stata causata proprio dall'impatto con un corpo di 10-20 km di diametro.
La localizzazione nella zona caraibica, regione caratterizzata da bassi fondali ricchi di carbonati, suggerisce che un sufficiente quantitativo di CO2 avrebbe potuto essere volatilizzato nell’atmosfera tanto da innescare, dopo l’iniziale repentino raffreddamento cui già si è accennato, quel temporaneo effetto-serra in grado di far innalzare la temperatura media del pianeta di 10 gradi protraendosi nel tempo per 105 anni.
Per saperne di più a proposito della saga del cratere K/T consiglio la lettura di due libri veramente interessanti: T.REX e il cratere dell'apocalisse di W. Alvarez - Mondadori, 1998 e Impact! The threat of comets & asteroids di G.L. Verschuur - Oxford University Press, 1996.

Non è certamente stata questa l'unica occasione di profondi mutamenti dell'ecosistema terrestre ascrivibili secondo alcuni alle conseguenze di impatti con corpi esterni.
Si è potuto rilevare da osservazioni geologiche e paleontologiche l'esistenza di una serie di eventi che, quasi con cadenza periodica (alla stregua di un serial-killer), hanno coinciso con estinzioni di specie viventi sul nostro pianeta.
Ma questa è un'altra storia…

 

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